IL Maiale
Varietà di salami

(U puorcu)

La Calabria vanta tradizioni antichissime per l’allevamento dei maiali e per la preparazione dei salumi. Il primo riferimento scritto risale al XVII secolo nel primo tomo "Della Calabria illustrata" di padre Giovanni Fiore da Cropani che parla di tecniche accurate nella lavorazione della carne suina e dei suoi derivati.

Anche a Francavilla, a partire dalla fine del mese di dicembre ma più generalmente dopo le feste natalizie, tutti coloro che avevano allevato o, comprato per l’occasione, il maiale si preparavano ad ucciderlo. La preparazione consisteva nel reperire e predisporre tutte le spezie necessarie, lavare "i cuccuma " per lo strutto, fissare la data con coloro che erano addetti alla macellazione, preavvertire amici e parenti, comprare e pestare tanto sale dentro "u mortaru ", predisporre "a cunserva e pipi " ecc. ecc.

Quelle settimane erano una festa continua, una festa nella quale la pancia finalmente trovava soddisfazione. Infatti, oltre alla ricorrenza dell’uccisione del proprio maiale, si partecipava anche a quella dei propri parenti e si riceveva inoltre la parte di carne che si usava scambiare tra amici.

La "festa" durava nelle sue fasi principali almeno tre giorni. In realtà il lavoro era un lavoro enorme e per finire di sistemare tutto e chiudere il capitolo maiale c’era bisogno di molto tempo.

Il giorno della macellazione cominciava con le donne che mettevano a bollire una grande quantità di acqua, che sarebbe servita per levare il pelo al maiale, e proseguiva con l'uccisone che avveniva sopra o "scifu " infilando un lungo coltello nella gola del povero malcapitato maiale e con la raccolta del sangue che sarebbe servito per fare "u sangunazzu ". Si proseguiva levando i peli con l’ausilio di acqua bollente e, infine, si concludeva questa fase dopo aver appeso il maiale a testa in giù, con la divisione del maiale nei diversi pezzi. Il primo pezzo di carne che si arrostiva era l’osso sacro.

Le donne partivano per andare al fiume, mia madre andava "a Frischia ", per lavare le budella che sarebbero poi state riempite di carne ottenendo così "sazizzi e supprassati ". Gli uomini dopo aver diviso la carne, quella per le salsicce e le soppressate, quella per i capicolli, quella per essere salata, quella che doveva essere regalata ecc. ecc., cominciavano a tagliarla a pezzettini per poi insaccarla dentro le budella.

L'uccisione del maiale

Le donne, oltre a tutti gli altri impegni, naturalmente avevano l’incombenza di cucinare, di preparare le porzioni di carne che dovevano essere regalate agli amici e ai parenti, lavare tanti recipienti e tenere acceso il camino.

La porzione che si regalava era composta da alcune costatine, da un pezzo di fegato avvolto nel velo, un pezzo di …. Ovviamente durante il giorno oltre a lavorare ci si accompagnava con della carne arrostita e del buon vino casereccio. La prima giornata si concludeva dividendo i "frittuli " dal lardo e tagliando quest’ultimo a pezzi.

Una operazione difficilissima da cui dipendeva la qualità del salame era la capacità di saper salare la carne che era stata fatta a pezzettini. Troppo sale l'avrebbe resa immangiabile, poco sale, ne avrebbe messo in discussione la sua conservazione.

Altro momento delicato era quello del riempimento delle budella con la carne, che doveva essere fatto evitando di lasciare aria nel suo interno e per questo venivano bucate con un ago e nello stesso tempo però dovevano essere riempite garantendo una certa consistenza.

Il secondo giorno di "lutto" lo si trascorreva con gli uomini intenti a preparare "a salami" e le donne a curare il grasso che si stava sciogliendo in una enorme "coddara " di rame. Oltre a girarlo abbastanza frequentemente ricordo che con una schiumarola e una forchetta si schiacciavano i pezzetti più grossi. Dopo sciolto, lo strutto, si metteva con dei mestoli "coppini " dentro i "cuccuma " e, una volta che questo si era solidificato, questi venivano chiusi con della carta oliata e legati con dello spago.

In alcuni contenitori a parte venivano invece conservati i "salimuori ", ossia i pezzettini di carne magra che si staccavano dal grasso, che poi avremmo mangiato o con il pane caldo appena sfornato o per farci le uova fritte.

Il terzo giorno oltre a completare la preparazione delle salsicce e delle soppressate si provvedeva a salare e pepare "u bufularu ", a preparare la carne che era rimasta, non c’erano frigoriferi infatti per la sua conservazione. Infine la sera si festeggiava con amici e parenti mangiando e bevendo tutti insieme le "ossa", ossia i pezzi di ossa che erano stati scarniti e che ovviamente avevano ancora tanta buona carne attaccata a loro e che una volta bolliti si distaccava.

Cominciava a quel punto la cura dei "salami" che, una volta appesi a delle canne fissate al soffitto, venivano fatte asciugare anche con del fumo provocato con la "bruvera". Una cura particolare la richiedevano i capicolli che dovevano essere periodicamente unti di olio e stretti regolarmente in mezzo a delle astine di canna per garantirne la consistenza.

Per conservare meglio "i salami ", in modo particolare le soppressate, venivano, una volta curate, poste sott’olio, mentre i "sazizzi " venivano messe nello strutto. Era questa la "festa" che ci accompagnava al Carnevale e attraverso la Quaresima alla Pasqua.

La foto in bianco e nero fuori dal testo è di Klaus-Peter Fischer

Salami appesi

 

 

Le Foto

 

 

L'uccisione del maiale

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